Lo Studio di Giuseppe Pellizza da Volpedo



















Lungo via Rosano a Volpedo il retro di casa Pellizza guarda su una roggia, e il blocco articolato della costruzione termina con un grande nucleo parallelepipedo che costituisce lo studio di Giuseppe Pellizza, l'atelier nel quale egli dipingeva, si esercitava e studiava, avendo di fronte i prati e la campagna. Esso fu fatto costruire dal pittore nel 1888 e fu successivamente ampliato fino ad assumere, nel 1896, l'attuale veste con l'ampio lucernario zenitale; è stato donato dalle due figlie di Pellizza al comune di Volpedo nel 1966 e l'aspetto che ha ora è dovuto ad un restauro che lo ha riportato alle condizioni originarie tra 1986 e 1994, anno della sua apertura al pubblico. Pellizza non aveva accesso allo Studio da via Rosano, ma vi accedeva direttamente dalla propria casa; l'ingresso attuale a cavallo della roggia si rese necessario in seguito alla donazione dello studio per separarlo dall'abitazione, che continuava a restare alla famiglia. Una volta entrati, si resta colpiti dall'ampiezza del locale, che ha un perimetro di m. 6,50x8,25 per 5,5 di altezza. I lavori di restauro hanno riportato le pareti alla colorazione data da Pellizza al suo atelier, togliendo a bisturi gli strati sovrapposti di colori e ritrovando la tonalità scura ma calda di un terra di Siena tendente al bruno, una tonalità intensa, come era consuetudine nella maggior parte degli atelier ottocenteschi. Al termine delle pareti Pellizza stesso dipinse una fascia architettonica, costruendo con efficace modellato prospettico l'illusione di una cornice con modanature in rilievo, giocando sul monocromo con grande sapienza.

La parete d'ingresso

La parete d'ingresso è l'unica dotata di aperture: tre grandi finestre nella parte alta dovevano garantire un'abbondante fonte di luce proveniente da nord-ovest e quindi senza immissioni dirette di raggi solari. La porta d'ingresso riprende e dilata fino a terra un'analoga chiusura a due battenti lignei che terminavano a circa 40 centimetri dal pavimento; l'apertura simultanea di queste ante congiuntamente alla sovrastante finestra consentiva al pittore di far entrare e uscire, utilizzando anche corde collegate alla carrucola posta esternamente sopra la finestra centrale, le grandi tele come Fiumana e Il Quarto Stato. A sinistra della porta d'ingresso troviamo una finestra più piccola i cui vetri furono da Pellizza oscurati per mezzo di alcune fotografie acquistate a Firenze, soprattutto da Alinari, in seguito all'ampliamento dello studio e all'apertura delle tre grandi finestre superiori, che rendevano superflua questa. Tra le fotografie figurano il Tributo di Masaccio, la Disputa del SS. Sacramento e la Trasfigurazione di Raffaello, esempi degli artisti del Rinascimento che Pellizza studiò a fondo.

Il lucernario

Per potenziare la luminosità dell'interno dello studio Pellizza fece aprire sul soffitto un grande lucernario, per il quale disegnò egli stesso il telaio. Il lucernario consentiva di ottenere nell'atelier una condizione di luce analoga a quella delle sale di esposizione, mettendo l'artista in condizione di verificare gli effetti finali delle sue opere; ma consentiva anche di godere del confronto diretto con una luce zenitale capace di esaltare la tersità dei colori nelle condizioni predilette dalla pittura divisionista. Il lucernario era schermato da un grande velario, che è stato ricostruito.

La parete di sinistra

La parete è scandita in diverse parti: il primo settore contiene la libreria, i cui scaffali, incassati nello spessore murario, accolgono ancor oggi libri e riviste che costituivano la ricca biblioteca personale del pittore. Vi compaiono libri di argomento artistico, ma anche molte opere letterarie e testi di storia e filosofia. Per accedere agli scaffali più alti Pellizza usava la lunga scala a pioli che ancor oggi si trova nello Studio. La stufa Warm Morning acquistata nel 1901 serviva a riscaldare la stanza d'inverno. Su due lunghe trecce di corda si snodano poi lungo la parete alcuni dei modelli in gesso che, acquistati dal Pellizza negli anni di studio all'Accademia di Brera, dovevano servirgli per continuare ad esercitarsi anche dopo il ritorno a casa. A fianco rimane la testimonianza dell'originario ingresso che metteva in comunicazione lo studio con casa Pellizza. Sul pannello di legno, che riproduce l'antica rustica porta, si possono vedere le prove di colore su tela fatte da Pellizza per saggiare la resistenza al calore e alla luce solare dei colori Lefranc. Sempre sulla falsa porta, un pezzo di tela dipinto documenta la tecnica di Pellizza nel 1894-95 in una parte del quadro La processione. Dopo aver completato l'opera, il pittore dovette ritenere non sufficientemente luminosa la parte destra del dipinto, la ritagliò dalla tela e, dopo averne cucito un analogo pezzo, ricompletò il lavoro, così come oggi vediamo nel quadro conservato al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.

In alto sono poi esposti tre ritratti. In ordine cronologico il primo è Ritratto di mio papà, olio su tela, eseguito nel 1889-90: l'impostazione iniziale a mezzo busto fu mutata nell'estate del 1890 (con l'aggiunta alla parte già dipinta di un nuovo pezzo di tela tessuta in casa dalla mamma), in base ad un'esigenza di maggior verità, ma anche sulla scorta dell'esempio del maestro Tallone, famosissimo ritrattista. Rispetto alle soluzioni talloniane, però, qui vediamo degli effetti completamente diversi nel rendere l'atmosfericità: Tallone aveva schiarito molto i fondi, e Pellizza deve a lui lo stimolo per certi fondi bianchi, che rintracciamo in diversi studi di testa. Ma in questo caso il fondo è reso più mobile da pennellate verticali di blu e di azzurro, di colori beige scuro con qualche aranciato, anche se non si tratta ancora di tinte pure. Lo stesso effetto è riprodotto nel pavimento, che ha le stesse tonalità di colore, ma con una gamma più accesa e un diverso rapporto di preponderanza. E' un primo tentativo di divisione della pennellata, sia pure non ancora finalizzata alla ricerca della massima luminosità.

Il secondo è il Ritratto di mia mamma, olio su tela, che fu dipinto nel 1890: qui lo studio del fondo diventa ancora più sapiente, e l'atmosfera crea un'ombra, o, più propriamente, un riflesso alle spalle della figura, facendola risaltare maggiormente. Assai raffinata è anche la resa dell'incarnato, in particolare delle mani, fatte di piccole pennellate che accostano agli impasti dei rialzi luminosi capaci di dare più verità alla composizione. I due ritratti, inviati alla prima triennale di Brera, ottennero a Pellizza i primi riconoscimenti della critica.

Il terzo è il Ritratto della sorella Antonietta, olio su tela, sempre del 1890: Antonietta era morta nel 1889, mentre Pellizza si trovava a Parigi, pertanto il pittore per eseguirlo si servì di una fotografia. Questo quadro non fu portato a termine e per questo testimonia del processo costruttivo dell'artista: la tela veniva preparata in bianco, su di essa il pittore definiva i contorni delle figure e poi completava col colore le varie parti, cominciando, in questo caso specifico, dal volto. Sul sottostante basamento ligneo appoggia una velina con disegni di figura per Il Quarto Stato, che, come l'altra grande velina appoggiata sul basamento della parete di destra, costituisce un deposito di un nipote dell'artista. Esse ci documentano la costruzione di una delle maggiori opere del pittore, di certo la più nota: servivano infatti per il riporto delle figure della schiera di lavoratori dal cartone, dove erano state abbozzate, alla tela.

La parete di fondo

Il risvolto del basamento sulla parete di fondo è appoggiato ad una paratìa lignea che il pittore aveva voluto per lasciare alle sue spalle una specie di ripostiglio, e forse per realizzarvi una specie di embrionale camera oscura. A questa paratìa appoggia ora l'Autoritratto giovanile del 1885, dipinto a olio su carta incollata su cartone, un quadro che ci colpisce per il realismo della composizione, lasciandoci però piuttosto perplessi sulla sistemazione del fondo, forse raschiato dal pittore in un secondo tempo, nel tentativo di rendere più mobile l'effetto.

Accanto si possono vedere delle prove di colore eseguite su un'asticella di legno. In alto a sinistra sulla parete vi è un disegno del 1891, eseguito con carboncino e gessetto bianco su carta marroncino, che rappresenta una veduta di Scorcio della metà superiore dell'anatomia in gesso che si trova nello Studio, acquistata dal pittore per poter proseguire anche a casa gli esercizi accademici. Quest'opera, che denota un virtuosismo prospettico fuso con una notevole perizia tecnica, fu esposta nel 1891 alla prima Triennale di Brera a Milano.

La paratìa lignea, costruita probabilmente nel 1896, in origine era più lunga e serviva per appoggiarvi quadri grandi, come Fiumana. Nella restituzione fattane se ne è limitata la misura per permettere la vista del camino sulla parete di fondo, il quale nei primi anni Novanta era servito da sfondo per qualche opera pittorica come Il ritratto del mediatore Giani del 1891. Nel camino si conservano alcuni oggetti come fioretti, conchiglie, sassi, anche questi utili strumenti di esercizio per il disegno negli anni giovanili. Ad analogo scopo serviva il manichino ligneo, da rivestire a piacere. Qui si conservano anche uno degli ombrelli utilizzati per l'esercizio pittorico en plein air, donato da un nipote di Felice Abbiati, cugino e amico di Pellizza, e un secondo ombrello. A raccordo fra la paratìa e il camino possiamo vedere uno dei cavalletti del pittore che corredano lo studio sul quale in un momento di lavoro all'aperto Pellizza abbozzò un piccolo paesaggio di panni al sole, secondo una gamma cromatica databile attorno al 1891-92. A destra del camino si trova la cassapanca originale che Pellizza teneva nell'incassatura muraria dove ora si trova una vetrina con i suoi strumenti di lavoro. Nello scorcio di parete sopra il camino è possibile ammirare un'opera ricevuta in prestito da un'altra nipote di Pellizza, costituita da un foglio di carta beige-rosata che riporta sul fronte e sul retro due disegni realizzati attorno al 1888: Figura di donna e Nudo sdraiato appoggiato ad un masso. Sulla stessa parete di fondo, in alto a destra, si trova una tela del 1887, La preghiera al cimitero, anch'essa frutto di un deposito di una nipote dell'artista. Si tratta di un quadro realizzato durante gli anni di preparazione artistica a Brera, che denota i tentativi di comporre una scena più complessa rispetto agli studi di testa in cui Pellizza si era finora esercitato e si segnala per la vicinanza tematica con opere degli artisti lombardi, da Grandi a Conconi a Segantini. Notevole è la ricerca di variazioni cromatiche nel colore brunato dell'abito della figura femminile, rischiarato dal bianco del largo colletto (un bianco che è contemporaneamente luce e colore), ma anche dai colori accesi con cui viene reso il prato, anch'essi spia dell'educazione lombarda del pittore.

La porta che si trova sulla parete era in origine la porta di chiusura di un armadio a muro, ed attualmente funge da ingresso al locale di servizio del museo, che viene utilizzato per contenere l'archivio, in corso di costituzione, e per l'esposizione di opere donate allo studio.

La parete di destra

Non sono tuttavia un semplice ricalco, bensì si presentano come un disegno teso ad individuare anche le separazioni tra parti in luce e parti in ombra, con eventuali pentimenti e varianti. Sopra la velina del Quarto Stato possiamo vedere un lungo nastro di tela dipinta, dalle tonalità cromatiche virate sul viola. Si tratta di una parte tagliata e poi sostituita dall'artista dalla base del quadro Il ponte (1904). Sul basamento ligneo, dopo la velina del Quarto stato, si trova l'Autoritratto a carboncino su tela del 1901, eseguito quindi da Pellizza posteriormente all'Autoritratto a olio esposto alla terza Biennale di Venezia del 1899 e ora conservato agli Uffizi di Firenze. Il disegno conferma l'interpretazione della figura dell'artista messa a punto nell'Autoritratto a olio e documenta il processo di rielaborazione a cui Pellizza sottopose la propria immagine, spingendolo poi a reintervenire sul dipinto nel 1901 con modifiche soprattutto nello sparato bianco della camicia. L'autoritratto a carboncino si impone per la morbidezza del modellato e per l'astrazione dei volumi che in esso domina, evitando qualsiasi caduta nel nozionismo descrittivo. La figura assume così un'aura originata dal suo materializzarsi nella zona intermedia fra luce e ombra, che le dà una solennità tale da sottolineare la qualità di operatore intellettuale, di pensatore, che Pellizza riteneva dovesse competere al pittore.

Sopra l'Autoritratto a carboncino si trovano quattro frammenti di una più grande tela: si tratta della parte bassa di una prima versione del San Luigino, dipinto per la parrocchiale di Volpedo nel 1894. Ciò che è rimasto della tela documenta che il pittore aveva proseguito le sue ricerche espressive per mezzo di un uso sapiente del colore utilizzato puro, scientificamente studiato negli accostamenti e che aveva cercato di rendere l'immagine più intensa e dinamica, utilizzando una pennellata ondulata. Proprio queste caratteristiche dovevano aver trasformato il San Luigino in una figura lontana dai modelli delle icone sacre e fecero sì che il parroco rifiutasse la prima versione dell'opera, obbligando Pellizza ad una seconda versione, più canonica, quella stessa che oggi vediamo nella chiesa di Volpedo.

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